C’era una volta tanto tempo fa un Lago, che si trovava tra le colline in un Paese nel quale era sempre inverno e l’estate non arrivava mai. La neve ricopriva la terra e l’acqua ghiacciata rifletteva le nubi plumbee.
In quel Paese non sorgeva mai il Sole.
In una cittadina che si trovava sulle rive del bellissimo Lago si ergeva un castello, circondato da un grazioso villaggio. In una delle casette viveva una fanciulla, il suo nome era Alba.
Quando nacque, i suoi genitori la chiamarono così perché aveva le guance rosate come la luce dell’alba, gli occhi e i capelli scuri come la notte e il sorriso luminoso come il giorno nascente.
Poiché la sua famiglia gestiva una panetteria, quando compì 16 anni Alba iniziò ad aiutare i genitori nella loro attività: il suo compito era quello di portare il pane fresco in tutto il Paese, compreso il castello che lo sovrastava, le cui merlature si specchiavano sull’acqua.
Dovete sapere che quel Paese era maledetto, o almeno questa era la storia che raccontavano gli anziani del paesello.
Una volta, infatti, tanti anni prima degli accadimenti che andremo a narrare, le colline verdeggiavano, l’acqua era azzurra e i pesci saltellanti, il sole splendeva.
Nel castello viveva il Re del villaggio, un uomo buono e giusto che non faceva mancare nulla ai suoi sudditi.
Ma un giorno tutto cambiò, iniziò a soffiare un vento freddo, l’oscurità si abbatté su quei luoghi e nessuno vide più il Re, che era come scomparso.
Il Castello, un tempo fieramente addobbato di stendardi e teatro di incontri e feste, chiuse le sue porte e sbarrò le finestre. Si intuiva la presenza di abitanti ma non li si vedeva mai, erano come ombre.
Le torri si stagliavano scure e minacciose sul villaggio, nessuno osava avvicinarsi più del dovuto.
Il Castello sorgeva su un promontorio che tagliava in due le acque del Lago, un tempo azzurre e quiete, ora di ghiaccio.
La gente del villaggio non si avvicinava mai troppo al Castello, ormai una presenza scura e misteriosa.
Si raccontava che chi vi si fosse avvicinato troppo non sarebbe più tornato.
Si diceva che fosse infestato, che numerosi, ignari viandanti in cerca di riparo fossero scomparsi, inghiottiti dalle oscure merlature, dissolti nella fitta nebbia che avvolgeva la Rocca.
In verità di questo non vi era alcuna prova, ma il timore che incuteva l’antico edificio e la superstizione insita nella semplice gente del popolo facevano sì che tutti vi credessero.
Infatti, il Castello veniva chiamato la Rocca Maledetta.
I più audaci raccontavano, inoltre, che se ci si attardava troppo la notte nei pressi delle rocciose mura, si potesse vedere un enorme Drago, bianco come la Neve, sorgere dalle sue mura emettendo orribili lamenti.
C’era chi aveva giurato di aver visto il Drago Bianco tuffarsi nelle acque del lago, cosa davvero impossibile
essendo le acque ricoperte da uno spesso strato di ghiaccio.
Ma si sa, le leggende popolari sono oltremodo fantasiose e soprattutto i più giovani tendono a screditarle.
Proprio per questo la piccola Alba, appena sedicenne, era estremamente incuriosita dal Castello e dalle leggende che lo circondavano.
Dovendo consegnare il pane anche in quell’edificio, che nonostante le apparenze era abitato da misteriosi inquilini, sebbene le venisse più volte raccomandato di non spingersi oltre le mura, la ragazza di rado obbediva a questi moniti.
Spesso e volentieri, si spingeva oltre nel malandato giardino infestato dai rovi, nei quali sorgevano rose bianche come la neve che le circondava. Era molto strano che un fiore potesse crescere con quel clima rigido.
Statue dalle fattezze minacciose la osservavano dai tetti del possente edificio e le sembrava di scorgere ombre passare dietro le strette finestre.
Alba era oltremodo attratta e incuriosita dalla Rocca Maledetta.
Aveva, ovviamente, ascoltato più volte la leggenda del Drago Bianco, e il suo desiderio era quello di poterlo vedere, se mai fosse esistito.
E fu così che una notte la fanciulla, allo scoccare della mezzanotte, mentre la sua famiglia riposava ignara, indossò uno scuro mantello e calò il cappuccio sulla folta e riccia chioma, per sgattaiolare verso la Rocca.
Quella notte la Luna era solo una piccola falce e il buio era totale.
Un brivido di paura la attraversò, ma la ragazza, risoluta, non abbandonò il suo intento.
Furtivamente percorse il piccolo villaggio e arrivò in cima al promontorio su cui sorgeva il maestoso Castello, come un’ombra scura.
Il silenzio regnava sovrano ed il Lago ghiacciato sembrava brillare di luce propria, irreale come un’apparizione. Alba si accostò alle mura e osservò il Lago, in attesa di qualcosa.
Il freddo era pungente e la ragazza stava per desistere, quando improvvisamente un lamento le raggelò il sangue.
Era un lamento lugubre e sommesso, non immediatamente udibile, che sembrava provenire dalle profondità della terra.
Alba sussultò, alzò gli occhi e vide sorgere dalle enormi merlature una figura bianca e spettrale, prima indistinta, poi sempre più chiara.
Era davvero un enorme, maestoso Drago, candido come la Neve, dalle lunghissime ali e dalle squame lucenti.
Gli occhi emanavano un bagliore argentato come la luce della Luna e la sua mole era immensa.
Quello spettacolo la lasciò ad occhi aperti, aveva paura ma non scappò, curiosa di saperne di più.
Il Drago, come raccontavano gli anziani del paese, stava per inabissarsi nel Lago e non dava segno di averla vista né udita, quando Alba spontaneamente gridò: “Aspetta!”.
Sorprendentemente, la bestia, che in verità aveva un aspetto poco ferino e anzi sembrava senziente e persino sofferente, rivolse a Lei l’enorme testa serpentina e, contro ogni aspettativa, parlò con voce cavernosa e disse: “Chi sei tu fanciulla, che osi parlare al Drago Bianco?”.
La ragazza rispose, atterrita dalla paura: “Sono Alba, la figlia del panettiere del villaggio. Vengo qui ogni mattina a portare il pane e so che tu vivi nel Castello, forse sei vittima di una maledizione? Come posso aiutarti, ti prego dimmi! Vedo nei tuoi occhi il dolore”.
Il Drago, con uno sguardo che sembrava in tutto e per tutto umano, spalancò le iridi argentate come la Luna e rispose: “Dolce Fanciulla, nessuno può aiutarmi, ma visto che sei la prima persona che mi rivolge la parola dopo tanti e tanti anni di solitudine, posso raccontarti la mia storia, se hai voglia di ascoltarmi”.
Alba annuì energicamente, ancora irrigidita dalla paura ma più che mai curiosa, e la bestia dalle candide squame cominciò a raccontare con voce che sembrava provenire dalle viscere della terra:
“Giovane Alba, devi sapere che sì, io ero e sono un abitante del Castello, ed un tempo la vita nel Villaggio era felice. Un giorno, durante una delle bellissime feste che venivano date a corte, si presentò sulla soglia una donna misteriosa, dai capelli rossi come il sangue, che bussò alla porta, chiedendo del Re.
La donna si rivelò essere una potente maga, che un giorno lontano il Re aveva amato, ma che poi aveva abbandonato, regalandole una rosa rossa come regalo d’addio. Era una delle rose che crescevano nei giardini del Castello, un tempo rosse, ora bianche.
La maga, adirata, scatenò la sua ira e maledisse gli abitanti del Castello, trasformandoli in ombre scure, costrette a vagare per le stanze, senza potere più uscire.
Condannò inoltre il Paese ad essere stretto per sempre nella morsa del Gelo, ricoperto di Neve scintillante dove nessun fiore poteva sbocciare, ad eccezione delle rose bianche che circondavano il Castello.
Solo una persona, il Re, a mezzanotte ogni notte poteva trasformarsi in un Drago Bianco, costretto a inabissarsi nelle acque ghiacciate del Lago, notte dopo notte, anno dopo anno.
La maga, però, ebbe un briciolo di pietà in quanto vide che il Re e la Regina avevano avuto da poco una figlia, una piccola Principessa.
Disse, allora, che la maledizione avrebbe potuto essere spezzata solo se un giorno una persona di buon cuore avesse ascoltato la storia del Drago e avesse acconsentito ad aiutarlo, cercando e trovando l’unica Rosa rossa che sorgeva nel Paese di ghiaccio. Se però quella persona non fosse riuscita nell’impresa, sarebbe diventata lei stessa un’ombra, colpita irrimediabilmente dalla maledizione, che a quel punto nessuno avrebbe più spezzato.
Cara fanciulla, avrai capito che quel Re ero io, e capirai da sola che nessuno può aiutarmi, perché qui non esistono rose rosse. La maga si è solo presa gioco di me. Non posso comunque esporre una ragazza così giovane e bella ad un rischio così grosso.
Per questo, non ti rivelerò nei dettagli come fare ad annullare la maledizione.
Ti ringrazio quindi di avermi ascoltato, ma per me non puoi fare proprio nulla”.
A quelle parole la ragazza, oltremodo stupita, rimase di sasso ma non ebbe alcun dubbio.
Quella candida bestia doveva essere senz’altro il Re, sparito ormai da anni, sentiva che tutto questo era vero,
molte volte aveva visto delle ombre aggirarsi dietro le finestre del Castello, era convinta che ci fosse qualcosa di strano, che la storia della maledizione fosse vera.
L’ impulsiva ragazza non esitò un attimo, nel suo entusiasmo e nella sua incoscienza, tipici della giovane età,
e tutto d’un fiato disse al Drago: “Ti aiuterò io! Troverò io la rosa rossa, ti prego dammi una possibilità! La vita del villaggio è monotona e sono stanca e annoiata di portare tutti i giorni il pane e sognare altri mondi, voglio essere io a salvare il villaggio!”.
Il Drago, sorpreso da quelle parole, era però troppo rassegnato per credere che qualcuno potesse liberarlo e troppo coscenzioso per mandare la fanciulla incontro a morte certa, pertanto scosse la testa, salutò Alba educatamente e sparì nel lago, che magicamente aprì la sua coltre di ghiaccio per accoglierlo.
Alba, delusa, non poté fare altro che tornare a casa sua.
Il giorno dopo e nei giorni seguenti, non fece che pensare alle parole del Drago, triste e addolorato.
Non ne fece parola con nessuno, per non diventare oggetto di scherno, tuttavia nella sua mente non c’era altro: doveva liberare il Paese dalla maledizione.
Rimuginava e rimuginava, finché non decise di visitare il Castello, in cerca di indizi, visto che il Drago non le avrebbe detto nulla.
Una mattina, mentre portava il cesto del pane, iniziò a guardarsi intorno con più attenzione.
La paura era tanta, perché l’edificio era davvero inquietante e desolato e si percepivano strane presenze, ombre che sgusciavano dietro le finestre.
Tuttavia, Alba superò le sue remore e decise di trovare una porta o una finestra dalle quali poter entrare.
Qualcosa avrebbe trovato, avrebbe capito come cercare la rosa rossa e liberare il Re Drago dalla terribile maledizione.
Le porte della Rocca erano sbarrate, c’erano solo delle strette finestre a sesto acuto, coperte da vetrate colorate. I vetri erano spessi, non sembravano affatto semplici da rompere.
I giardini erano immensi, un groviglio di rovi, disseminati di statue mutilate dalla fattezze angeliche o mostruose, che sembravano osservarla.
Era giorno, eppure quel posto incuteva terrore.
Finalmente la coraggiosa fanciulla scorse una finestra nella quale mancava un pezzo di vetrata.
Il suo corpo agile e snello avrebbe potuto infilarsi in quella fessura, abbastanza larga e priva di pericolose schegge con le quali avrebbe potuto ferirsi.
Alba raccolse tutto il suo coraggio e si infilò nell’apertura, incerta se quel gesto l’avrebbe portata a divenire un’eroina o a vivere il suo ultimo giorno di vita.
Quando si infilò nella stretta finestra rimase a bocca aperta.
Si aspettava una dimora abbandonata e fatiscente, invece il salone era maestoso, addobbato, ornato di stendardi colorati, come se una festa o un banchetto dovessero tenersi di lì a poco.
Vagò nell’enorme stanza, sentendo dietro di sé vaghe ombre, percependo persino dei sussurri…o era la sua immaginazione? La ragazza era terrorizzata, ma proprio quando stava per scappare via vide a terra una pergamena, con accanto una rosa avvizzita. La pergamena recitava:
“ Se la maledizione vorrai spezzare
Nel Ghiaccio il Sangue dovrai trovare
Sulla Montagna una Rosa Rossa sorgerà
Che la neve Bianca non gelerà
Ma solo se il tuo Cuore sarà coraggioso
Potrai far tornare il Villaggio gioioso”.
Quelle rime, così semplici e quasi puerili, racchiudevano in sé il segreto della Maledizione.
Alba doveva recarsi sulla Montagna che era alle spalle del villaggio, un luogo ove nessuno andava mai, perché era fredda e inospitale.
Ci sarebbe voluto un giorno intero di cammino, i suoi genitori l’avrebbero cercata, ma la ragazza era decisa: avrebbe liberato lei il Villaggio!
Prese con sé la vecchia pergamena e la mattina dopo sul fare del giorno, indossò uno spesso mantello, stavolta bianco come la Neve e partì, fingendo di dover consegnare come al solito il pane.
Si avviò verso l’alta Montagna, con il vento che le sferzava il viso.
Sulla strada impervia non c’era nulla, solo neve e ghiaccio.
Cammina cammina, la ragazza arrivò a una piccola radura, nella quale decise di fermarsi a riposare e a mangiare un pezzo di pane.
Era stremata, e a quel punto nella neve vide un Corvo Nero, che sembrava essere ferito.
Si avvicinò, e notò che il Corvo aveva una spina infilata nell’ala.
Alba ebbe pena per l’uccello, e sperando che non le ferisse la mano con il becco o con gli artigli, decise di aiutarlo, togliendogli la spina.
Lo fece e l’animale sorprendentemente, con voce educata parlò: “O fanciulla, dolce fanciulla! Grazie di avermi aiutato, erano giorni che stavo male per colpa di questa spina maledetta, ma nessuno vuole aiutare un nero Corvo come me…So che stai cercando la Rosa di Sangue, per ringraziarti ti dico come fare. Raggiungi la caverna in cima alla montagna, ma stai attenta, nulla è come sembra! Cra, Cra…!” e senza darle il tempo di rispondere, l’uccello si allontanò, voltando con le lunghe ali nere.
Alba era sbigottita, uccelli parlanti non ne aveva mai visti, ma del resto nulla aveva senso in ciò che aveva visto e sentito negli ultimi giorni…quindi si fece coraggio e rinvigorita dal cibo e dal riposo, con il suo giovane e forte corpo iniziò a camminare rapidamente per raggiungere la cima, ancora lontana.
Cammina, cammina, cammina…ad un certo punto si imbatté in una seconda radura, più grande della prima, candida e luminosa come il ghiaccio che la ricopriva.
Sulla radura dapprima non lo vide, perché era Bianco come la neve, poi lo scorse.
C’era un maestoso cavallo, dalla lunga criniera argentata, bianco e opalescente. L’animale si girò, e la ragazza sgranò gli occhi per la sorpresa.
Non era un cavallo, perché un lunghissimo corno iridescente stava in mezzo alla sua fronte, e i suoi occhi scuri splendevano come onice: era un Unicorno.
L’animale non poteva muoversi, aveva la zampa incastrata sotto un enorme masso, e la guardava con occhi sofferenti.
Alba, ormai non più incredula ma quasi abituata alle bizzarrie incontrate lungo la strada, capì subito che avrebbe dovuto aiutare l’animale.
Prese un ramo per farne un lungo bastone, e facendo leva su di esso con fatica spostò l’enorme masso.
L’unicorno, la cui zampa era miracolosamente illesa, felice di essere stato liberato iniziò a saltellare e nemmeno a dirlo parlò con voce chiara e argentina: “O fanciulla dolce fanciulla, grazie per avermi liberato!
Tutti quando vedono il mio lungo corno scappano e da giorni ero prigioniero! So che stai andando alla Caverna per cercare la Rosa di Sangue, perciò per ringraziarti ti aiuterò. Iiiihhh, iiiih!”
Finito di parlare, l’unicorno toccò il bastone che la ragazza aveva ancora in mano con il suo corno magico, e il bastone si trasformò in una bellissima spada argentata come la Luna. Era leggerissima, e sembrava molto affilata. La ragazza non era una spadaccina, ma pensò che potesse esserle utile, e la prese con sé, diretta alla grotta in cima al monte.
Cammina, cammina, cammina….era il tramonto quando Alba arrivò alla grotta.
Il Sole tramontava sulle rive ghiacciate del Lago, rosso come il Sangue sulla neve Bianca.
Ormai i suoi genitori la stavano sicuramente cercando, la ragazza era dispiaciuta ma desiderosa di tornare da eroina.
Entrò di soppiatto nella caverna, che era splendida, ornata di stalattiti e stalagmiti di ghiaccio, splendeva di luce propria.
Aveva la spada in pugno, ovviamente temeva di trovare qualcosa di minaccioso.
Al centro della caverna con sorpresa scorse una teca di vetro, sotto la quale era custodita la Rosa rossa più bella che avesse mai visto. I suoi petali risplendevano maestosi come il tramonto che aveva appena visto, era lì da chissà quanti anni eppure sembrava appena colta.
Fece per sollevare la teca e per prenderla, quando una voce la distrasse.
Era un sussurro, le parole erano indistinte…eppure la ragazza si girò…e non vide nulla.
Ricordò allora le parole del Corvo nero: “Nulla è come sembra!” e decise di essere prudente.
Invece di prendere la Rosa, decise di ispezionare la Caverna.
Cercò e cercò, ma non trovò nulla, solo ghiaccio e neve.
Alba aveva deciso allora di prendere la Rosa e andar via, senza tante storie.
Ma mentre stava di nuovo per sollevare la teca, si girò e dietro di lei era comparsa una vecchina, dai lunghi capelli bianchi, che le disse: “O fanciulla dolce fanciulla, daresti un pezzo di pane ad una vecchina affamata?”.
La ragazza era incerta, non sapeva cosa fare, e mentre rifletteva la vecchina la ghermì con una mano dalle lunghe unghie nere appuntite, e non era più una vecchina. Era una donna alta e bellissima, dal lungo abito scuro, dai capelli e dagli occhi rossi come il sangue.
Alba capì subito che era la maga abbandonata dal Re e senza pensarci due volte, prima che le lanciasse un incantesimo e le impedisse di salvare il villaggio, impugnò la spada.
Nel frattempo il Corvo nero che aveva salvato si lanciò a beccare il volto della maga, così da consentire ad Alba di trafiggerle il petto, dal quale uscì un fiotto di sangue nero.
Fu allora che l’Unicorno bianco arrivò, la ragazza prese la Rosa rossa e salì in groppa all’animale, che era velocissimo.
Sentiva che la maga la stava inseguendo, ma l’Unicorno era più veloce della luce e in un attimo furono avanti al Castello.
Le nubi nere, scatenate dalla maga adirata, si addensavano sul villaggio. Il cielo si oscurò.
Tutti gli abitanti del villaggio, compresi i genitori di Alba, erano accorsi a vedere la ragazza dal lungo mantello
bianco, dai folti capelli neri, che reggeva tra le mani una spada e una Rosa rossa, davanti al Castello.
Era ormai sera, le stelle brillavano e l’oscurità era tagliata da una luminosa falce di luna.
La fanciulla si ergeva di fronte al lago, aveva lo sguardo deciso, non era più la ragazzina di prima.
Tutti videro con grande stupore un enorme Drago Bianco levarsi in volo dal Castello, maestoso.
La ragazza prese la Rosa e la depose ai suoi piedi.
E fu allora che le stelle brillarono ancora di più, la neve si sciolse, l’aria non fu più fredda.
Le porte del Castello si aprirono e ne uscirono i cortigiani vestiti a festa, la musica echeggiava e all’interno si vedevano tavole imbandite con il cibo.
Al posto del Drago c’era un uomo dalla barba bianca, che indossava una corona. Era il Re.
Il Re prese la corona in mano e sotto gli occhi stupiti di tutti disse:
“Giovane Alba, tu non ricordi ma sei tu mia figlia, la piccola principessa che riuscì quel giorno ad essere portata via di nascosto e sfuggì alla maledizione, affidata alle cure del panettiere del villaggio.
Io ormai sono vecchio per fare il Re. Tu, piccola Alba, che ci hai liberato dalla terribile Maledizione del Ghiaccio, sarai la regina di questo villaggio.
E fu così che Alba si inginocchiò e il Re le posò la corona sulla testa.
Divenne una splendida e giusta regina e le Rose del castello tornarono ad essere rosse e il villaggio gioioso.
La Regina Alba regnò molti e molti anni e il suo Castello, bellissimo e visitato da ogni parte del mondo, divenne il Castello della Rosa, che si specchia nelle azzurre acque del Lago.
Il villaggio prosperò a lungo, e vissero felici e contenti.